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Interviste
Di seguito le interviste:

Intervista a Laura Wronowski Fabbri - Milano, 7 Giugno 2016


Laura Wronowski Fabbri mi accoglie nella sua casa milanese, circondata da libri e quadri meravigliosi, con l'entusiasmo di chi ha il desiderio di raccontare la propria storia, che è poi la storia del nostro Paese.
"Ero una bambina felice, ero circondata da amore, non quell'amore ovattato che ti impedisce di fare i giochi dei bambini, ma un amore che mi permise di sperimentare, di giocare sulla spiaggia. Avevo una sorella più grande di 12 anni, Natalia, e un fratello a metà tra noi due, Pierlorenzo. Avevamo un carattere diverso, ma eravamo molto uniti."
Aveva sei mesi Laura, quando il 10 Giugno 1924 la storia della sua famiglia fu segnata dall'omicidio di Giacomo Matteotti. Il parlamentare socialista, che si era schierato apertamente contro il fascismo, era suo zio acquisito: aveva sposato la sorella di sua madre (una donna che Laura ricorda di una eleganza innata, dagli occhi viola).
Il padre di Laura, Casimiro Wronowski, era un aristocratico polacco che lavorava come giornalista al Corriere della Sera, ma dopo il delitto di Matteotti si dimise in segno di protesta e in dissenso con la linea del giornale dei fratelli Crespi, vicini al fascismo.
Dopo le dimissioni dal Corriere, la vita in città era diventata troppo cara; vi restarono fino agli anni trenta, poi si trasferirono a Finale Ligure e in seguito a Chiavari, in alta Val Fontanabuona. Le scuole del paese erano ben diverse da quelle di città, come qualità degli insegnanti e come materiale a disposizione degli alunni.
Laura ricorda che la maestra ligure non aveva interesse a insegnare nulla: "raccontando come trascorrevamo la giornata in classe, mia madre andò dalla maestra per chiedere spiegazioni della sua noncuranza ed ella confessò di non avere alcun interesse per quel lavoro, perchè in realtà era una spia dell'OVRA (polizia fascista). Questa notizia ovviamente fece preoccupare mia madre."
Nel frattempo il padre trovò un impiego come direttore della rivista che la Galbani decise di pubblicare e distribuire alla propria clientela. Laura racconta che il padre era un giornalista ed un intellettuale sopraffino: fu lui il primo ad avere l'idea di inserire delle strisce a fumetti all'interno della rivista. Questo lavoro permise a tutta la famiglia di vivere dignitosamente e di mandare all'università il fratello. "Mio padre riteneva che solo il figlio maschio dovesse proseguire gli studi, mentre le figlie femmine avrebbero dovuto trovare un buon partito; mia madre invece non era d'accordo, diceva 'non è mica una carriera il matrimonio'".
Il giorno dell'armistizio fu per la giovane Laura cruciale.
"L'8 settembre del 1943, mio fratello, che era uno studente universitario, si trovava in caserma a Bolzaneto. Gli universitari prossimi alla laurea, venivano comunque precettati con la cartolina rosa e mandati alla scuola di guerra per fare poi gli ufficiali sul campo di battaglia oppure potevano fare semplicemente il militare in caserma. Pierlorenzo scelse di fare il militare. Il giorno in cui fu dichiarato l'armistizio, mio fratello all'inizio pensò di restare e sparare ai tedeschi che si fossero avvicinati, ma poi decise di ascoltare il suo compagno d'università e di scappare dalla caserma per tornare a casa."
In quella situazione di sbando generale, i soldati che avevano già delle idee contrarie al regime, si toglievano la divisa e raggiungevano le formazioni partigiane che si stavano creando in montagna, gli altri invece cercavano di tornare alle proprie case.
"In quel momento, importante fu la solidarietà dei contadini, che pur non essendo di indole molto ospitali in quella zona e pur non avendo niente, donavano abiti, rifugio e cibo ai soldati in fuga. Mia madre, che conosceva il carattere dei suoi figli, era molto preoccupata per Pierlorenzo di cui non aveva ancora notizie, quindi volle incontrare un rappresentante clandestino del Partito d'azione per chiedere aiuto e io andai con lei. Quell'uomo rassicurò mia madre su mio fratello, ma nel frattempo mi chiese se, visto che ero una ragazza sportiva (si sapeva che amavo nuotare e andare in bicicletta) volessi dare una mano in quella che sarebbe diventata la Resistenza. Sarei dovuta andare in montagna a cercare delle zone adatte ad ospitare le formazioni partigiane. Mi diede delle indicazioni scritte sulla cartina delle sigarette, così piccola che se mi avessero fermata io avrei potuto mangiarla. Avrei dovuto incontrare un uomo di nome Paolino che faceva il macellaio; come segno di riconoscimento mi diede una banconota di 2 lire a metà, lui avrebbe avuto l'altra metà. Accettai, perchè in fondo la mia vita era monotona: avevo terminato gli studi, leggevo, andavo a nuotare e in bicicletta. Non ci si poteva muovere liberamente: quando, per esempio, mio fratello doveva andare da Chiavari a Genova per l'universià, doveva sempre passare dal regio commissario per dire quale treno avrebbe preso. La nostra casa era sempre sorvegliata: c'erano sempre stati i fascisti sottocasa, ma poi quando si costituì la RSI la situzione peggiorò, perchè i repubblichini erano peggiori dei tedeschi. Non è che capissi che andavo incontro a possibili problemi, vedevo una biciclettata in una zona a me sconosciuta (perchè io ero abituata al mare non alla montagna, non avevo neanche le scarpe adatte) e c'era la curiosità dell'ignoto. Dopo la prima notte tragica passata con i topi al freddo su dei sacconi di paglia, pensai di tornare a casa nella tranquillità quotidiana.
La mattina, però, capii che non potevo tornare indietro, che mi avevano dato un compito e dovevo portarlo a termine con la mia solita precisione. Rimasi li solitaria, in quella vallata coperta da castagneti, in compagnia solo dei contadini che si nutrivano principalmente con la farina di castagne (perchè dove c'è il castagno non cresce niente, neanche un filo d'erba e quindi non c'erano neanche le mucche). I tempi di lavorazione della farina di castagne erano lunghissimi, perchè c'era un sistema di essiccazione primitivo, quindi tra un raccolto e l'altro non avevamo molto da mangiare. Io ero capitata in quel frangente, le castagne nuove stavano ad essiccare e quelle vecchie erano finite, quindi si mangiava qualche rapa bollita nell'acqua senza sale. Era una vallata non particolarmente favorevole per il cibo. La Resistenza non era fanfare e canti: era silenzio. La vita quotidiana fu soprattutto una lotta accanita contro la fame e il freddo".

Laura entrò a far parte del distaccamento "Ventura" della Brigata Lanfranconi GL Matteotti, guidato dal cognato Antonio Zolesio (ex ufficiale della Marina Militare di Livorno), che nel 1938 aveva sposato sua sorella maggiore Natalia e che prese il comando delle divisioni GL liguri con il nome di Umberto Parodi. Ogni tanto Laura scendeva in fondovalle per recuperare informazioni (dove si era insediata la divisione Cremona, circa 200 militari), dava poco nell'occhio perchè sembrava una sfollata.
"Un giorno, in una bottega il proprietario mi fece prendere delle castagne secche senza pagare, io ne misi in bocca una e si poteva solo lasciare li a sciogliere, non si potevano mordere, diedi le altre ai compagni. Non pensavamo che le proprietà nutritive delle castagne secche ci avrebbero effettivamente aiutato a superare la fame". Il comandante Parodi quell'estate del 1944 era deciso a far sapere alla popolazione che c'era un gruppo di giovani che si stava ribellando ai fascisti, così decise di compiere un attacco al campo di concentramento di Calvari. In quel momento il campo era sotto utilizzato, c'erano una ventina di prigionieri (soprattutto ebrei) e qualche guardia. Zolezio nei giorni precedenti all'assalto convinse i militari di guardia a stare dalla loro parte e così quando il 5 luglio i partigiani attaccarono, non trovarono resistenza. I prigionieri furono liberati.
Laura ricorda bene le emozioni di quel giorno.
"Quella mattina pioveva moltissimo, ma con la mia bicicletta scesi a valle. Allora non c'erano gli impermeabili come oggi, avevo una giacca di lana che si inzuppò, cercai riparo accanto ad un cespuglio, dovevo sorvegliare la zona. Prima di raggiungermi al campo, i miei compagni assaltarono una caserma dei carabinieri della zona per recuperare poche e obsolete armi. Quando la sera arrivarono, ricordo che ero molto arrabbiata per l'attesa. Liberammo i prigionieri, che furono poi nascosti nelle case dei contadini della zona o accompagnati al confine. Io trovai un alberello, raccolsi due meline piccolissime verdi, ripresi la mulattiera e me ne tornai al nostro fienile. Due giorni dopo scesi di nuovo a valle e dentro il campo di concrentramento non c'era più nulla. Era stato tutto smantellato."
Laura era l'unica donna nella sua divisione, ma tutti la trattavano con rispetto: "I miei compagni erano giovani, belli e sportivi. Mussolini li voleva così i giovani, forti per andare a morire nelle sue guerre. Io dissi loro che non avevano speranze con me, perchè ero già innamorata."
Purtroppo, però, il suo amore Sergio Kasman, anch'egli partigiano di Giustizia e Libertà, morì per mano nemica in piazza Lavater a Milano nel 1944 (decorato medaglia d'oro), ma lei lo seppe solo dopo la liberazione. "In quegli anni essere uno a Milano e l'altro a Genova era come essere uno sulla luna e uno sulla terra".
Le donne che scelsero di combattere per la liberazione anche con le armi e in montagna, spesso dovettero affrontare l'opinione contraria della propria famiglia. Laura, invece, racconta che i suoi genitori non la ostacolarono: "Mia madre non avrebbe mai detto a un figlio di non fare qualcosa in cui lui credeva. Mi diceva sempre . Una volta quando arrivò nella zona una radio con due soldati alleati, io che parlavo bene inglese, andavo spesso a parlare con loro e un giorno mi dissero che avevano delle pillole di cianuro piccolissime, da usare nel caso in cui li avessero arrestati, così per evitare le torture si sarebbero uccisi. Convinsi uno di loro a darmi una pastiglia e me la feci cucire nell'orlo della sottoveste da mia madre. Non avrei potuto sopportare di subire violenze fisiche, piuttosto mi sarei uccisa".
Quando la guerra volgeva al termine, nella primavera del 1945 i fascisti, che cercavano Laura e il fratello (anch'egli nella stessa divisione, col ruolo di commissario politico), andarono dai loro genitori e arrestarono il padre: "presero lui, perchè mia madre aveva una trombosi alle gambe e io le avevo detto di zoppicare davanti ai nazifascisti.
Non avrebbero mai portato via una donna zoppicante per un lungo percorso. Mio padre fu arrestato e rimase in carcere presso la Casa dello studente di Genova per circa tre mesi, ma non subì torture. In carcere, però, conobbe un giovane magistrato di Genova del PdA, che gli raccontò la sua storia e le torture che subiva costantemente, perchè sapeva che non sarebbe uscito vivo da quel carcere. Nel libro "più duri del carcere" scritto da mio padre, che era un meraviglioso scrittore, c'è la sua storia".

Che ricordo ha del giorno della Liberazione? "Sono salita sulle montagne dell'Appennino ligure il 9 settembre 1943 e sono scesa il 25 aprile del 1945 a Genova. Ricordo che litigai col capo, che era mio cognato, perchè lui non voleva farmi andare. Non sapevamo quale fosse la situazione a Genova e lui si preoccupava per me - in realtà si preoccupava di tutti i suoi uomini sempre. Io, però, andai lo stesso a Genova, scesi con l'aiutante maggiore e un compagno moro con la barba e i capelli lunghi, una tuta mimetica, che chissà dove l'aveva presa, un mitra senza proiettili, insomma a vederlo faceva paura. Eravam su una topolino senza cappotte, con solo il sedile del guidatore. Ricordo che c'era un freddo quel giorno a 700 metri d'altezza all'alba ed eravamo affamati. Arrivammo intorno a mezzogiorno nei pressi di Porta Principe. Ero triste, perchè capivo che stava terminando il periodo più affascinante della mia vita, un periodo in cui anche la paura era diventata qualcosa di particolare. Avevo conosciuto un mondo di miseria certo, ma anche di coraggio e di dignità. Avevo anche paura dell'incognito, di quello che sarebbe successo a Genova, perchè i tedeschi scappavano e i fascisti erano incattiviti. Avevo gli occhi spalancati per non piangere."
Il 2 Giugno 1946 fu una data importante per la storia del nostro Paese, perchè gli italiani furono chiamati a scegliere con un referendum tra Repubblica e Monarchia e perchè per la prima volta si tennero delle elezioni politiche, in cui poterono votare ed essere elette anche le donne.
Il racconto di Laura del suo 2 Giugno di 70 anni fa:
"Quel giorno io e mio fratello, che dopo la guerra eravamo andati a Milano a cercar lavoro, partimmo all'alba con un treno bestiame verso Chiavari, dove avevamo ancora la residenza. Le scuole erano in cima a una scalinata, ricordo che i gradini erano pieni di gente in coda. Votammo verso mezzogiorno, eravamo affamati, ma decisi: mai e poi mai avremmo rinunciato a quel diritto. Perchè votare è un diritto! Verso casa Savoia c'era un disprezzo e un odio da parte della gente che non si può spiegare. Un capo supremo delle forze armate che scappa lasciando il suo esercito in balia dei nemici non è accettabile. Mio padre diceva sempre ."
"Penso che il voto alle donne fu concesso da parte della DC, anche perchè le monache erano tante e quindi sapevano che avrebbero potuto contare su di loro alle elezioni. Nel 1948 infatti poi hanno stravinto".

L'attuale governo ha proposto una consistente riforma della nostra Costituzione, scritta dai padri e dalle madri costituenti che lei stessa elesse. Qual è la sua opinione: "Guai a chi me la tocca! La Costituzione è il regalo più bello che la Resistenza ha fatto all'Italia. E' vero che alcune righe possono esser aggiornate, ma deve rimanere quello che è".
Qual è stato il momento più bello e quello più brutto negli ultimi 70 anni?
"Il momento più bello è stato certamente il giorno in cui abbiamo votato Repubblica e il fatto che anche le donne potessero votare. Di momenti brutti purtroppo ce ne sono stati tanti. Ad esempio l'assassino di Moro, il finto terrorismo delle brigate rosse. Dico finto, perchè penso che sia stato pilotato dall'America che non voleva un PCI così forte in Italia."
C'è stato un periodo in cui del periodo resistenziale si parlò poco, anche per i partigiani la vita nel dopoguerra non fu facile.
"la Resistenza non è stata odiata, me è stata ignorata per anni. Probabilmente gli italiani erano troppo occupati ad andare avanti, a mettere insieme il pranzo con la cena. Poi penso che probabilmente il problema sia stato il fatto che il PCI l'abbia 'mummificata', non l'ha saputa trasmettere a un società che stava cambiando. La Resistenza è stata qualcosa di vero e di fantasioso, che si collegava con un filo rosso sottile al Risorgimento, con la differenza che nella Resistenza ci fu il coinvolgimento di tutta la popolazione, anche dei contadini. Senza i contadini non ci sarebbe stata la Resistenza. Gli italiani quando sono in miseria ragionano meglio, è il benessere che li ha rovinati".
Concludo chiedendo a Laura come possono essere trasferiti all'oggi i valori resistenziali, cosa consiglia ai giovani?
"Consiglio sempre ai giovani di difendere l'ambiente, lo stiamo distruggendo. Si può fare una resistenza morale contro la corruzione, restare coerenti con le proprie scelte morali. Comportarsi con dignità. Certo si paga un prezzo, ma ne vale la pena. Combattete contro la mediocrità."

Laura, che dopo la guerra a Milano diventò giornalista, non ha perso la capacità di analizzare e descrivere gli eventi della società di oggi.
Una donna coraggiosa e determinata, che ha saputo affrontare le difficoltà della guerra in montagna, ma anche quelle che il dopoguerra ha comportato.

Fu grazie alle donne che, più volontarie degli uomini, parteciparono alla Resistenza in città e in montagna, con e senza armi, si aprì la strada verso l'emancipazione e il riconoscimento dei diritti civili e politici della donna, a partire dall'acquisizione del diritto al voto.