Antonio Beretta
Caduto nell’eccidio di Fondotoce
Antonio Beretta era nato l’11 luglio 1913 a Monza da papà Umberto e mamma Adalgisa Rovagnati. Abitava in via Como 6 (oggi via Carlo Prina) e lavorava come meccanico alla Philips Radio di Monza. Era noto ad amici e colleghi come “Tom” ed all’interno della fabbrica svolgeva attività antifascista, pare che collaborasse alla creazione della prima cellula comunista alla Philips, oltre che cercare di organizzare il supporto materiale alle formazioni partigiane in costruzione in montagna. La denuncia di una spia lo fece individuare dalla polizia fascista e l’organizzazione clandestina del partito lo fece trasferire in montagna. Prima di partire scrisse una lettera ai genitori pubblicata nel 1960 dal Comune di Monza nel libro “Monza nella Resistenza”, in cui si scusa per il dolore che potrà arrecare ma “ciò che ho fatto è per una giusta causa, per la quale ho lottato con tutte le mie forze”. Beretta entra a far parte della divisione “Valdossola”, è il febbraio del 1944. La formazione "Valdossola" nacque dalla fusione di un piccolo gruppo proveniente dalla bassa Valle Antigorio, guidato da Mario Muneghina, con un gruppo di giovani riuniti intorno a Dionigi Superti. Inizialmente composta da 25 uomini, la "Valdossola" arrivò a contare circa 300 partigiani a causa dei bandi fascisti di chiamata alle armi, che fecero affluire in montagna soprattutto i giovani delle classi 1923, 1924 e 1925. Il nuovo partigiano monzese faceva capo a Superti e la “Valdossola” si distinse in quei mesi a cavallo fra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera del ’44, per i diversi scontri in cui respinse gli assalti delle truppe nazifasciste. E’ però la formazione di Superti che nel giugno di quell’anno subì la massima pressione del grande rastrellamento messo in atto a partire dal giorno 11 nella Val Grande, zona selvaggia in quella che è oggi la provincia del Verbano-Cusio-Ossola, divenuta rifugio della formazione partigiana. Molti di loro vennero fatti prigionieri il 17 giugno a Pian Laurasca e forse anche Beretta. Dopo la cattura, attraverso la Val Loana (Val Vigezzo) furono portati a Malesco, nella sede del comando tedesco installatosi presso il locale asilo. Nelle cantine dell’edificio in quei giorni vennero interrogate e torturate molte decine di partigiani catturati durante il rastrellamento. Altri prigionieri catturati in Val Grande vennero, invece, trasferiti a Villa Caramora, a Intra, sempre sotto il controllo tedesco al quale i fascisti italiani obbedivano senza avere voce in capitolo. La mattina di martedì 20 giugno il gruppo di prigionieri detenuti a Malesco venne trasferito a Intra. «Ci fecero firmare una dichiarazione in lingua tedesca» racconta Carlo Suzzi, l’unico sopravvissuto alla strage. «Noi ne ignoravamo il contenuto». Al gruppo appena arrivato vennero uniti alcuni prigionieri prelevati dalle cantine di villa Caramora. Nello stesso pomeriggio di quel martedì il gruppo di partigiani prigionieri, ora arrivato a quarantasei unità, venne trasferito da Intra a Fondotoce. Fatti salire su alcuni camion, i partigiani furono costretti ripetutamente a scendere lungo il tragitto - a Intra, Pallanza e Suna – attraversando a piedi, in una lugubre processione, i centri abitati, un’azione più che propagandistica, di terrorismo verso la popolazione civile. Due partigiani in testa al corteo portavano un cartello sul quale era scritto a grandi lettere: “Sono questi i liberatori d’Italia, oppure sono i banditi?”. Adele Rovagnati, cugina di Tom, in seguito riconobbe nell’uomo che regge il cartello a sinistra della partigiana Cleonice Tomassetti che guida la fila, proprio il congiunto Antonio Beretta.
Giunti a Fondotoce, una frazione di Verbania distante circa sei chilometri dal capoluogo, tre di loro furono all’ultimo momento inspiegabilmente prelevati e rispediti indietro a Intra; gli altri quarantatre furono allineati vicino al canale che congiunge il Lago di Mergozzo al Lago Maggiore e fucilati. I corpi furono esumati esattamente un anno dopo, 14 caduti sono rimasti ignoti. Tom fu riconosciuto dai parenti per un anello di metallo di nessun valore che portava al dito e che nella fotografia si nota. Antonio Beretta è sepolto nel cimitero di Monza nel campo dei partigiani.
FONTI
- www.casadellaresistenza.it
• ERSILIA MONTI, in: Vite partigiane : diari e testimonianze della Resistenza nel Verbano Cusio Ossola, a cura di Paolo De Toni, Arialdo Catenazzi e Ersilia Monti, ANPI, Sezione Provinciale Verbano Cusio Ossola, 2013

