Comitato provinciale Monza e Brianza

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Luigi Casati
Caduto

Nato 1926 a Limbiate. Operaio dell’Alfa Romeo di Milano all’interno della quale era attivo nella propaganda antifascista, attività che proseguiva a Limbiate in alcuni gruppi giovanili.
Si unì alle bande partigiane della montagna bresciana, dove nell’estate del 1944 fondò nell’alta Valtrompia un piccolo gruppo autonomo che raccoglieva attorno a sé alcuni dei giovani renitenti alla leva sopravvissuti al rastrellamento del monte Muffetto. Casati diviene il comandante di questa banda con il nome di battaglia di Gimmj. Lo storico della Resistenza in Valtrompia, Isaia Mensi, nella sua pubblicazione “Partigiani sovietici nella Resistenza bresciana”, mette in luce definitivamente le vicende che lo riguardano, inserite nello sviluppo delle formazioni partigiane della zona che comprendevano, appunto, anche un gruppo di disertori russi della Wehrmacht. In particolare era nata la volontà da parte del Clnai di raccogliere in un comando unificato le formazioni della valle aventi caratteristiche, origini e referenza politica delle più svariate. Per questo Casati partecipa nella prima metà di agosto a diversi incontri alla “Cascina del Sacù”, sul versante sud della Corna Blacca, tra i comandanti delle varie bande per raggiungere un accordo che permettesse un vero controllo partigiano del territorio. La trattativa è difficile, i gruppi minori sono restii ad abbandonare la propria autonomia ed a sottoporsi ad un comando unificato, condizionato dalle formazioni partigiane maggiori che avevano il controllo politico della valle. Il prosieguo dell’attività di organizzazione unitaria della Resistenza in Val Trompia, arriva ad un punto in cui le bande indipendenti, difficilmente controllabili e le cui azioni avrebbero potuto nuocere ad una più ordinata attività militare ed anche, secondo la loro opinione, causare danni alla popolazione civile, non sono più tollerate. In una riunione alla Malga Garotta i comandanti delle brigate esistenti o nascenti decidono, pare, la condanna a morte dei capi dei tre gruppi autonomi ribelli all’incorporazione. I partigiani garibaldini uccidono così il comandante del gruppo dei russi, Nicolaj Pankov e il suo luogotenente Michail Onopreiciuk il 18 settembre 1944 in località Dosso di Aleno. I fratelli Arturo e Cecco Vivenzi, comandanti del secondo gruppo autonomo, vengono uccisi con una raffica di mitra sparata alla schiena dai garibaldini della neo costituita 122ª brigata che sono andati ad “arrestarli” ad Ombriano di Marmentino il 5 ottobre 1944. Il comandante Gimmj, ossia il 18enne limbiatese Luigi Casati e il suo braccio destro Angelo Ghidini di Lumezzane, vengono uccisi con una raffica di mitra da partigiani della 122ª brigata Garibaldi il 10 ottobre 1944 nei pressi di Cimmo, dove erano convenuti “per partecipare a un’azione gappista” e qui sepolti. Nel dopoguerra, nel 1946, fu avviata un’indagine che sfociò in un processo presso il tribunale di Ancona e poi alla Corte d’Appello di Bologna che così riporta l’autore della ricerca Isaia Mensi:

E' utile anticipare, per una migliore comprensione della storia, che la corte d'appello di Bologna prosciolse Tito dall'accusa di omicidio, considerando l'uccisione del comandante russo Nicola un'azione legittima, ordinata ed eseguita all'interno della lotta di liberazione e pertanto adducendo la seguente motivazione: “E’ per un adempimento di tale ordine che, stante l’organizzazione militare dei partigiani, non poteva essere sindacato nella sua legittimità dal Guitti (“Tito”) cui era diretto, che costui, sorpreso il Nicola nella cascina dei coniugi Paterlini in Lodrino, lo uccise, in concorso di altri partigiani nel settembre del 1944.”

Ed ancora più appropriatamente Isaia Mensi riflette profondamente in conclusione:

A livello generale le uccisioni dei capi dei tre “gruppi irregolari” diretti da Pankov, Vivenzi e Gimmj, si potrebbero dunque interpretare come un eccesso di violenza militare in un “conflitto interno” nel quale hanno decisamente pesato decisioni politiche esterne, incoerenti tuttavia con la causa della libertà e dei diritti universali che a livello ideale si propugnava. Violenza per di più annidata ed esercitata in progetti occulti, motivo per cui è seguito il silenzio, anche per le morti aggiuntive
Oggi non esistono ancora risposte definitive a certe domande, che potrebbero risanare ferite ancora aperte. Sussistono diverse interpretazioni, derivate da un diverso modo di concepire eventi così estremi e di valutarne appieno le conseguenze. All’interno della drammatica guerra di liberazione, nel complicato rapporto tra le formazioni resistenziali maggiori e i gruppi minori, dopo essere state sperimentate e rifiutate dai gruppi ufficialmente considerati indipendenti varie proposte (incorporazione in una nuova brigata Matteotti o passaggio in altre), l’eliminazione fisica dei capi dei loro capi è stata da tutti (Cvl, Cnl, comandi sistemici) considerata una forma di soluzione radicale del problema.


Per la famiglia Casati la Seconda guerra mondiale fu un’immensa tragedia: Giovanni e Giuseppe, fratelli di Luigi, erano caduti sul fronte greco nel marzo 1943.

FONTI

- Isaia Mensi, Partigiani sovietici nella Resistenza bresciana

Luigi Casati
Fonte: Isaia Mensi, Partigiani sovietici nella Resistenza bresciana



Un percorso a cura del Comitato provinciale ANPI Monza e Brianza