Comitato provinciale Monza e Brianza

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Gianni Citterio
Caduto, Medaglia d’oro al valore militare

Gianni Citterio nasce a Monza il 13 giugno 1908 in una famiglia che sarà molto importante per la sua formazione politica, il padre Giuseppe è infatti un attivo socialista e la madre, Angela Sacconaghi, ne favorisce gli studi. Gianni ha infatti la possibilità di frequentare il ginnasio allo Zucchi di Monza e poi di laurearsi in legge a Pavia. Citterio rappresenta una delle anime più precoci ed attive dell’antifascismo monzese, già durante la frequentazione dell’università è animatore di gruppi studenteschi avversi al regime e negli anni Trenta fa propaganda clandestina contro la guerra in Etiopia e l’intervento italiano in Spagna. Nel 1940 l’Italia entra in guerra e Citterio si avvicina sempre più, fino ad aderirvi, al Partito comunista italiano della cui idea diviene divulgatore in Brianza.
Nel 1943 la stretta collaborazione che da tempo ha instaurato con alcuni oppositori politici monzesi come Antonio Gambacorti Passerini, Aldo Buzzelli, Enrico Farè, Rodolfo Crippa, Amedeo Ferrari e Fortunato Scali, si concretizza nella creazione di un gruppo politico clandestino, il “Fronte d’azione antifascista” che si raduna quando può nello studio dell’avvocato Scali in via Vittorio Emanuele 20, oppure nel retro della farmacia di Carlo Casanova, socialista ed altro componente del gruppo. Il Fronte si dota di un giornaletto intitolato “Pace e libertà” nel quale soprattutto Citterio detta lo stile e i contenuti; l’opuscolo viene stampato in una piccola casa di proprietà di Passerini ad Olgiate Calco. Il nucleo e la sua pubblicazione continueranno l’attività fino alla caduta del fascismo nel luglio del ’43. L’8 settembre è decisivo per l’attività dell’antifascista monzese, è lui che arringa la popolazione dal balcone del palazzo comunale, mettendosi in mostra quindi come leader del movimento di opposizione. E’ sempre Citterio a guidare il gruppo che chiede armi al presidio militare senza ottenerle. L’arrivo dei tedeschi lo costringe a lasciare la città ma il partito lo coinvolge in compiti sempre più importanti, quali cercare di coordinare i primi sbandati e ribelli sui monti. Quando non è in missione fa base presso il suo appartamento di via Pinturicchio a Milano che servirà da rifugio anche ad esponenti importanti del Partito comunista quali Amendola, Scotti, Dozza e Celeste Negarville, membro della dirigenza del partito e direttore dell'Unità, con cui stringerà una salda amicizia. Sempre in rappresentanza del Pci entra a far parte del primo Comitato militare del Clnai, dove è noto con il nome di “Diomede”; è in questo ruolo che incontra di nuovo l’amico Giovanni Battista Stucchi, come si è visto presente nell’istituzione clandestina per conto dei socialisti. Nel Comando militare della resistenza del nord Italia, dunque, su sei componenti ben due sono monzesi. Nel frattempo era accaduto che a Monza un amico collega di partito era stato arrestato e torchiato dal sergente Werning delle SS e non avendo resistito aveva parlato raccontando tutto quello che sapeva su Citterio. Rilasciato come promesso in cambio della confessione, aveva avvisato Ida, la sorella di Gianni, del suo cedimento. Questo è quanto scrive Giovanni Battista Stucchi sul suo libro di memorie “Tornim a baita”. Comunque sia Citterio viene informato del fatto e il partito decide così di allontanarlo dal milanese; lo invia quindi in montagna, sfruttando le sue grandi doti di organizzatore affidandogli il compito di commissario politico nella formazione del capitano Beltrami, una delle prime creatisi in Val d'Ossola. Diviene il suo commissario combattente con il nome di battaglia di “Redi”.


Piazza Citterio, Monza.

MEGOLO 13 Febbraio 1944

Erano le 6.30 del 13 febbraio 1944. Alcuni reparti tedeschi di SS appoggiati da una compagnia della Guardia Nazionale Repubblicana, coperti dalla fitta nebbia delle prime ore del mattino, invasero la piccola frazione del comune di Pieve Vergonte.
Il capitano Beltrami dispose i suoi partigiani su una linea di circa 200 metri e quindi prese il proprio posto di combattimento accettando lo scontro, malgrado il rapporto numerico in termini di uomini fosse di 1 a 10 a sfavore come inferiore era l’armamento. Nascosti dietro ad una balza i partigiani attesero che tedeschi e fascisti fossero a breve distanza per aprire il fuoco, cosa che determinò un primo scompaginamento degli assalitori.
Purtroppo, l'unica arma pesante si inceppò e dovette essere abbandonata. A metà mattina i nazifascisti fecero affluire ulteriori rinforzi e la battaglia divenne più cruenta. Durante uno spostamento dalla sua posizione, Citterio venne colpito da una raffica e abbattuto, la sua storia di antifascista impegnato su tutti i fronti, da quello politico a quello militare, era finita. Intanto la scarsità di munizioni non permetteva di resistere a lungo. Dopo una coraggiosa sortita, mentre Beltrami tentava di riorganizzare gli uomini su una nuova linea di difesa, venne a sua volta colpito da una mitragliatrice. Antonio Di Dio e Gaspare Pajetta nel tentaivo di aiutare il capitano caddero a loro volta. Dopo quattro ore di duro combattimento, con poche munizioni e senza la guida del loro comandante, i superstiti ripiegarono e si dispersero fra le rocce e nella boscaglia, cercando poi di raggiungere gli altri distaccamenti. La battaglia di Megolo fu d’insegnamento al movimento resistenziale: la lotta militare non poteva essere affrontata con gli scontri a viso aperto, vista la disparità di mezzi, ma doveva seguire i dettami della guerriglia, del mordi e fuggi e dell’agguato.



Un percorso a cura del Comitato provinciale ANPI Monza e Brianza