Giuseppe Pellegatta
Caduto
Nato 1925. Padre Francesco.
Il colonnello Carlo Croce ufficiale di complemento dei bersaglieri, si trovava nel presidio a Porto
Valtravaglia in provincia di Varese quando l’8 settembre 1943 arrivò la notizia dell’armistizio e
Croce si rese conto che il proclama di Badoglio avrebbe avuto come conseguenza l’immediata
l’occupazione nazista del territorio italiano e decise di schierarsi contro i tedeschi.
Fino al 10 settembre sera i soldati rimasero compatti con il loro comandante, poi iniziarono a
disertare. La mattina del 12 settembre Croce, con un centinaio di uomini e con tutto il materiale
che riuscì a trasportare, tra cui la dotazione di un battaglione di bersaglieri ciclisti in fuga verso il
confine, si trasferì a Roggiano e si acquartierò nelle postazioni militari costruite durante la prima
guerra mondiale, in prossimità di Cascina Fiorini. In questo luogo si fermò per circa una settimana.
Le incursioni nelle caserme abbandonate di Luino e Laveno consentirono un buon rifornimento di
armi, munizioni e viveri che il 19 settembre, caricati su autocarri militari e automezzi civili, furono
trasferiti a Vallalta di San Martino in Villa San Giuseppe (zona ritenuta più idonea per la difesa
della vallata), ex Caserma Luigi Cadorna, residenza estiva dell’Istituto Sordomute Povere di
Milano.
Il primo impegno fu quello di dotarsi di un nome: Esercito Italiano - Gruppo Militare Cinque
Giornate Monte San Martino di Vallata Varese e di un motto: Non si è posto fango sul nostro volto.
Il San Martino è montagna sita tra la Valcuvia e il Lago Maggiore Nei giorni successivi si
costruirono e rafforzarono le postazioni difensive della struttura. Il gruppo divenne ogni giorno più
numeroso per il continuo affluire di militari italiani e di soldati dei comandi alleati fuggiti dai campi di
prigionia, fino a raggiungere la consistenza di centocinquanta unità, tanto che il 22 ottobre 1943 il
gruppo venne diviso in tre compagnie. Importante si rivelò il sostegno del C.L.N. (Comitato di
Liberazione Nazionale) di Varese, la collaborazione di buona parte del clero locale e della
popolazione dei paesi adiacenti al San Martino che iniziò gradualmente a realizzare fossati,
sbarramenti e postazioni di difesa. Con l’avvicinarsi dell’inverno e l’ingrossarsi delle fila partigiane i
tedeschi si resero conto che l’azione partigiana avrebbe potuto costituire un serio pericolo, anche
perchè squadre del gruppo avevano effettuato sortite contro i presidi tedeschi e fascisti della
zona.
I nazifascisti iniziarono anche a costituire una rete di spionaggio con infiltrati nel gruppo e con
gente del posto disposta a collaborare, o per condivisione dell’ideologia o per un riscontro
economico. Per questa ragione, già ai primi di novembre, i comandi tedeschi erano a conoscenza
dei componenti del gruppo, della provenienza dei rifornimenti, della dotazione di armi,
dell’ubicazione delle fortificazioni. Il 14 novembre, con la collaborazione di carabinieri e milizia
fascista, si diede inizio al rastrellamento della popolazione residente alle pendici del monte, furono
catturati tutti gli uomini dai quindici ai sessantacinque anni e rinchiusi negli edifici pubblici o nelle
chiese.
A Rancio Valcuvia i tedeschi concentrarono un numero considerevole di uomini considerati
partigiani o collaboratori dei partigiani che subirono durissimi interrogatori, sevizie e torture. Tutte
le persone rastrellate vennero poi liberate nelle giornate del 17 e 18 novembre al termine della
battaglia.
Il pomeriggio del 14 (domenica) qualche migliaio di soldati tedeschi, del 15° Reggimento di Polizia,
della Guardia di Frontiera Italiana, con supporti fascisti che fanno da guida e da interprete,
attaccano la formazione partigiana. Verso le ore dodici del 15 novembre ci fu un attacco della
Luftwaffe, un durissimo bombardamento aereo contro le postazioni arroccate sulla montagna.
I partigiani opposero estrema resistenza anche nel corso del bombardamento aereo fino
all’esaurimento delle munizioni che li costrinse a ritirarsi nel sottostante Forte. A quel punto i
tedeschi attaccarono la vetta. Nonostante l’eroica resistenza, i partigiani furono sopraffatti e sei di
loro catturati. Fra di essi Giuseppe Pellegatta. L’arrivo dell’oscurità costrinse i tedeschi a
sospendere ogni azione permettendo così ai partigiani di ricompattarsi, distruggere i materiali
rimasti, occludere gli accessi alle gallerie e organizzare la fuga verso la Svizzera, che raggiunsero
all’alba del 16 novembre. Anche Croce, pur ferito, si diresse verso la Svizzera, trasportando gli altri
feriti.
Oltre a molti tedeschi muore un solo partigiano. I partigiani, fatti prigionieri in vetta al S. Martino, il
Ten. Alfio Manciagli (Folco), i soldati Osvaldo Brioschi (da 12 giorni in montagna), Giovanni Vacca,
Angelo Ventura, Elvezio Rossi, Franco Ghezzi, Gianfranco Colombo, Giuseppe Pellegatta
verranno fucilati in loco altri al comando. Ricorda Padre Ettore: "La mattina successiva alla
battaglia mi recai al Comando tedesco di Cassano Valcuvia per invitarli a mandare una pattuglia
davanti al Convento a rimuovere le bombe a mano che qualcuno aveva depositato nel corso della
notte. Nell'atrio della casa c'erano cinque partigiani in piedi che venivano frustati con il nerbo dal
Colonnello che li stava interrogando". Ricorda il sopravvissuto Germinal Concordia: "Osvaldo
Brioschi fu fucilato dagli italiani al servizio dei tedeschi, insieme con altri 7 prigionieri. Prima della
fucilazione furono interrogati e orrendamente sfigurati. Poi furono seppelliti nella fossa comune. Ferito mi salvai in modo miracoloso ed appena possibile feci ritorno a Milano".

